La scorsa settimana è circolata la notizia che l’oleodotto che avrebbe dovuto passare sotto il lago Oahe è stato bloccato. Obama alcune settimane fa ha fermato i lavori, chiedendo ulteriori verifiche sull’impatto ambientale dell’opera. Il verdetto del Genio militare è favorevole ai Sioux della Riserva di Standing Rock e alle migliaia di attivisti che hanno dato vita all’accampamento di lotta che ha raccolto settemila persone, nonostante la neve e il freddo. Il percorso dell’oleodotto è stato bocciato, perché il rischi per l’ambiente sono troppi ed è consigliabile studiare percorsi alternativi.
E’ tuttavia presto per cantare vittoria, perché la sospensione è di 120 giorni non è la prima nella storia di una lotta, in cui ci sono stati oltre quattrocento arresti, numerosi feriti, anche gravi.
Il 20 gennaio si insedierà Donald Trump, che ha già dichiarato di voler far ripartire i lavori: è chiaro che, pur avendo segnato un punto a proprio favore, gli oppositori all’oleodotto hanno di fronte ancora una lunga lotta.
Per questo tantissimi tra i nativi americani che per settimane e settimane sono rimasti accampati sulle pianure attraversate dal fiume Missouri, scontrandosi più di una volta con le forze dell’ordine, non vogliono mollare la posizione. Vogliono restare nelle loro tende e nei loro caravan nonostante il rigido inverno sulle sponde del lago Oahe sia già iniziato.
È proprio sotto quel lago che la Dakota Access, società del gruppo di Dallas Energy Transfer Partners, vorrebbe far passare l’oleodotto, col rischio di inquinare le falde acquifere a meno di un chilometro dalla riserva. In passato il numero uno della Energy Transfer è stato chiaro: “Non se ne parla proprio, non abbiamo alcuna intenzione di cambiare programmi”. Di qui il lungo braccio di ferro con l’amministrazione federale e con le autorità locali, perché lo stop ora può significare fermare tutto per mesi
Proprio quando il Dakota Access era quasi terminato.
Lungo quasi duemila chilometri, parte dai campi del Nord Dakota e arriva fino a un terminal in Illinois, passando per il South Dakota e l’Iowa. Ad opera ultimata avrà una capacità massima di 550 mila barili di greggio al giorno.
Gli interessi dietro questa infrastruttura, su cui sono stati investiti 3,7 miliardi di dollari, sono dunque enormi. La stessa famiglia Trump avrebbe ancora una partecipazione nella Energy Transfer Partners, seppur ridotta rispetto a qualche anno fa quando la cifra ammontava tra 500 mila e un milione di dollari. Di certo Trump possiede oggi azioni per 100-250 mila dollari nella Philips 66, che detiene il 25% della Dakota Access. Anche qui, dunque, potrebbe profilarsi un conflitto di interessi, nel momento in cui la nuova amministrazione Usa dovrà decidere sulle sorti del controverso progetto.
Nel frattempo un nuovo accampamento è sorto intorno al cantiere di una parte già costruita della pipeline. Il fronte si sta allargando.
La lotta dei Lakota è riuscita in questi anni a rivitalizzare il movimento dei nativi statunitensi, la fetta di popolazione più povera e repressa degli States. Non solo la resistenza al lago Ohae ha catalizzato un più ampio movimento ambientalista, tessendo reti che potrebbero essere una nuova linfa nelle lotte degli anni a venire.
tratto da Anarres
E’ tuttavia presto per cantare vittoria, perché la sospensione è di 120 giorni non è la prima nella storia di una lotta, in cui ci sono stati oltre quattrocento arresti, numerosi feriti, anche gravi.
Il 20 gennaio si insedierà Donald Trump, che ha già dichiarato di voler far ripartire i lavori: è chiaro che, pur avendo segnato un punto a proprio favore, gli oppositori all’oleodotto hanno di fronte ancora una lunga lotta.
Per questo tantissimi tra i nativi americani che per settimane e settimane sono rimasti accampati sulle pianure attraversate dal fiume Missouri, scontrandosi più di una volta con le forze dell’ordine, non vogliono mollare la posizione. Vogliono restare nelle loro tende e nei loro caravan nonostante il rigido inverno sulle sponde del lago Oahe sia già iniziato.
È proprio sotto quel lago che la Dakota Access, società del gruppo di Dallas Energy Transfer Partners, vorrebbe far passare l’oleodotto, col rischio di inquinare le falde acquifere a meno di un chilometro dalla riserva. In passato il numero uno della Energy Transfer è stato chiaro: “Non se ne parla proprio, non abbiamo alcuna intenzione di cambiare programmi”. Di qui il lungo braccio di ferro con l’amministrazione federale e con le autorità locali, perché lo stop ora può significare fermare tutto per mesi
Proprio quando il Dakota Access era quasi terminato.
Lungo quasi duemila chilometri, parte dai campi del Nord Dakota e arriva fino a un terminal in Illinois, passando per il South Dakota e l’Iowa. Ad opera ultimata avrà una capacità massima di 550 mila barili di greggio al giorno.
Gli interessi dietro questa infrastruttura, su cui sono stati investiti 3,7 miliardi di dollari, sono dunque enormi. La stessa famiglia Trump avrebbe ancora una partecipazione nella Energy Transfer Partners, seppur ridotta rispetto a qualche anno fa quando la cifra ammontava tra 500 mila e un milione di dollari. Di certo Trump possiede oggi azioni per 100-250 mila dollari nella Philips 66, che detiene il 25% della Dakota Access. Anche qui, dunque, potrebbe profilarsi un conflitto di interessi, nel momento in cui la nuova amministrazione Usa dovrà decidere sulle sorti del controverso progetto.
Nel frattempo un nuovo accampamento è sorto intorno al cantiere di una parte già costruita della pipeline. Il fronte si sta allargando.
La lotta dei Lakota è riuscita in questi anni a rivitalizzare il movimento dei nativi statunitensi, la fetta di popolazione più povera e repressa degli States. Non solo la resistenza al lago Ohae ha catalizzato un più ampio movimento ambientalista, tessendo reti che potrebbero essere una nuova linfa nelle lotte degli anni a venire.
tratto da Anarres